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Coworking e Regione Toscana: una nuova forma di lavoro per affrontare la crisi?

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In questi anni di crisi economica sentiamo spesso storie di disperazione e di disoccupazione.

Sono sempre più rari, invece, gli esempi di buone pratiche e di successo di chi, in qualche modo, prova a reinventarsi e a costruire modalità innovative di lavoro per compensare l’assenza delle forme tradizionali.

Per questo oggi voglio provare a parlare di un esempio virtuoso: il coworking (lavoro condiviso), nato negli USA ma sempre più diffuso anche in Europa e in Italia.

Può essere un’idea anti-crisi?

Non si sa, c’è chi sostiene lo sia e chi invece no. Sicuramente però il coworking si sta facendo notare per il suo valore sociale e perché parla a tutto un mondo di professionalità che sta diventando sempre più numeroso.

Anche se Eugenio Canovaro ne ha parlato nei mesi scorsi in questo blog, vorrei comunque cercare di dare una definizione a questo fenomeno.

Quindi, che cos’è il coworking? Non è facile dare una definizione univoca perché le modalità e gli scopi per cui viene utilizzato vanno dall’ambito sociale a quello commerciale.

Su wikipedia si legge:

“Il coworking è uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d’ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. Attrae tipicamente professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e finiscono per lavorare in relativo isolamento”

Ma c’è di più: il coworking si basa sul principio di condivisione non solo a scopo del risparmio economico (divisione dell’affitto) ma anche a scopo professionale e sociale.

Non solo, il coworking viene visto anche come una comunità. Per il co-workers, infatti, non si tratta solo di condividere l’affitto ma anche di poter scambiare con altri le proprie professionalità. Per es. un grafico che ha il vicino di scrivania fotografo e una stamperia all’interno della struttura dove lavora ha la possibilità di avere una collaborazione e degli stimoli che vanno al di là della divisione dell’affitto.

C’è poi il lato della socialità, che permette al professionista di non lavorare in solitudine ma di far parte di un gruppo di persone.

Un’altra caratteristica che rende il coworking al passo con i tempi di oggi è la sua flessibilità. Non c’è bisogno di un business plan per diventare coworkers e non devi affittare la tua “scrivania” per un tempo troppo lungo (il classico contratto commerciale è 6 più 6 anni), puoi affittarla anche solo per un mese.

Il Coworking in Italia ha cominciato a diffondersi sempre più al punto che alcune amministrazioni pubbliche (perlopiù i comuni) hanno provato ad incentivarle mettendo a bando spazi pubblici per dare avvio a nuove realtà.

La nostra Regione Toscana non è mancata all’appello delle PA che sostengono queste nuove forme di lavoro. A maggio scorso, infatti, ha approvato una delibera che detta “gli indirizzi per la costituzione di un elenco qualificato di soggetti fornitori di coworking in Toscana e per l’assegnazione di voucher a favore di giovani toscani che desiderano entrare in uno dei coworking dell’elenco”.

In altre parole nei prossimi mesi usciranno due bandi che verranno inseriti all’interno di GiovaniSì (il progetto dell’autonomia dei giovani della Regione Toscana www.giovanisi.it) :

– Il primo, che dovrebbe uscire entro la fine di ottobre, sarà volto a creare un elenco di Coworking toscani (che rispecchino i parametri delle linee guida)

– Il secondo, invece, prevederà dei voucher per i giovani che andranno ad inserirsi in una realtà di coworking toscana presente nell’elenco, coprendo il costo dell’affitto della postazione di lavoro.

Non so se il coworking sia una nuova forma di lavoro utile per combattere la crisi, né se si evolverà fino a diventare una modalità consolidata.

Quello che conta, secondo me, è che in questo momento dove la disoccupazione giovanile è altissima, le amministrazioni pubbliche provino ad incentivare nuove realtà, alternative a quelle tradizionali e spesso giovani, che tentano di adeguarsi e di fronteggiare le trasformazioni del mercato del lavoro.

Se il lavoro condiviso sarà una forma efficace o no potrà dircelo solo il tempo. Nel frattempo “chapeau!” a chi non si arrende e prova a reinventarsi.

 

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