Parliamo di politica, più o meno seriamente.

Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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Caro PD, ti vogliamo bene ma questa dirigenza ha fallito

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Netto, inequivocabile e senza appello. Questo è il verdetto uscito dalle urne democratiche la sera dell’8 dicembre. Un trionfo di Matteo Renzi in tutta Italia. E anche nella nostra provincia di Livorno. Non c’è un solo seggio che non abbia visto, al termine delle operazione di scrutinio, come vincitore il sindaco di Firenze.

E questo è stato un risultato tutt’alto che scontato, come qualcuno sta cercando di far passare oggi.

Il risultato di Renzi arriva in una provincia dove solo un anno fa, pur nella “renziana Toscana”, l’affermazione di Bersani fu altrettanto netta e dove solo qualche mese fa chi oggi sosteneva Cuperlo aveva vinto i congressi di circolo, quelli territoriali e le convenzioni. E non era scontato nemmeno per la presenza massiccia ed anche un po’ ingombrante che il sindacato, la CGIL, si era ritagliato in questa fase.

Queste primarie hanno spazzato via insulti (“il volto peggiore della DC”, “manuale cencelli”), scorrettezze (lettere su carta intestata del sindacato, buste targate PD Val di Cornia Elba), accuse di eterodossia e hanno affermato pochi semplici concetti che vorrei provare a buttare già schematicamente:

-i nostri elettori ci hanno detto “vogliamo bene al PD ma questa classe dirigente ha fallito”

-il sindacato faccia il sindacato e non la cinghia di trasmissione di una corrente

– la voglia di cambiamento e di rinnovamento non può essere più ignorata.

Hanno fallito dei metodi, dei riti “laici”, ha fallito una proposta politica. Gli italiani, e i livornesi (nel senso più ampio, di tutta la provincia) hanno scelto di voltare pagina e sbaglierebbero i vertici neoletti del nostro partito a non prenderne atto e a farsi carico di queste istanze.

Così come sbaglieremmo noi sostenitori di Renzi a chiedere un avvicendamento al vertice. Non abbiamo condotto questa partita con uno spirito di rivalsa per aver perso i congressi locali. Non abbiamo condotto questa partita per sostituire un gruppo dirigente con un altro. Se fosse così renderemmo un pessimo servizio non solo al nuovo segretario nazionale ma al Partito Democratico tutto.

Deve essere ben chiaro anche a noi quello che è successo. I nostri elettori ci hanno caricato di un pesante fardello: le loro speranze, le loro preoccupazioni, la loro voglia di cambiare e la loro voglia di vedere un PD finalmente nuovo e finalmente vincente. Questo è il tempo che renziani (di qualunque ora, anche post voto), cuperliani e civatiani si tolgano la maglietta della squadra del cuore per mettersi quella della nazionale (e passatemi la metafora calcistica).

Questo è il momento di chiudere i comitati, rimboccarsi le maniche e lavorare tutti uniti per un PD veramente democratico, forte e coraggioso. Un PD finalmente aperto e plurale dove chi ha l’ardire di dissentire dai vertici locali non sia silenziosamente e progressivamente emarginato o accusato di essere un infiltrato della destra o di essere un corpo estraneo antropologicamente diverso.

Il pluralismo interno, le aree politiche sono una ricchezza di questo partito non un impedimento. Lo sono quando diventano aree di elaborazione politica e non filiere di potere dove fare carriera all’ombra del capo corrente, con l’etichetta del suo cognome stampata in petto.

A qualche giorno dalle primarie sento già le prefiche piangere ed agitarsi per improbabili quanto remote epurazioni. A parte che questo è il giochino più vecchio del mondo, denunciare preventivamente qualcosa che si pensa accadrà per evitare che accada, ma noi ci siamo candidati a cambiare verso anche a questi metodi qui. Le primarie per noi non sono una clava con cui risolvere le beghe correntizie. Le primarie per noi sono il metodo democratico per eccellenza con il quale selezionare la nostra classe dirigente.

E a chi parla di epurazioni e cacciate gli vorrei rispondere: “Vi piacerebbe!!”. Qui c’è da ricostruire ex novo un partito che ha perso milioni di voti e migliaia di elettori. C’è da ricostruire la sua immagine e la sua credibilità agli occhi degli elettori e per farlo c’è bisogno dell’impegno di tutti, nessuno escluso.

C’è da lavorare, adesso.

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