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Dipende dal clima, siamo meteoropatici.

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All’incrocio svoltare a sinistra

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Cercate di identificare la Sinistra Italiana come una persona. Vi aiuto io: assomiglia ad una donna sulla quarantina coi capelli lunghi e castani raccolti in una coda. E’ una bella donna ormai non più giovanissima. Si veste in abiti decisamente vintage e ha l’aria della secchiona, occhiali spessi e scarpe comode. Sinistra è una donna in crisi di identità: non riesce più a raccontare chi è e si sorprende spesso nel ricordare malinconicamente la sua bellezza dei tempi ormai andati. Chi l’ha conosciuta a quel tempo si ricorda bene come era amata e temuta, e non può che rimanerle a fianco. Ma quel candore ormai è svanito, e di nuovi compagni nella comitiva non se ne vedono da un po. Da una parte è tentata di riproporre i suoi cavalli di battaglia storici: gonne corte e stivali alti. Ma si rende conto che sarebbe ridicola. Dall’altra parte non si vede nei panni della quasi-signora che è diventata. La domanda che continua a porsi è una domanda soltanto: “Che cosa è la Sinistra?”.

Adesso smettete di immaginare Sinistra come una donna, e ripensatela come quella collettività di persone, associazioni e formazioni varie. La prima cosa che salta agli occhi è che tutte queste diverse anime sono in contrapposizione tra loro nel per rivendicare un posto la sole (dell’avvenir), in una perenne competizione del tutto interna ad uno schieramento che ha preso la cattiva abitudine di autodefinirsi attraverso le alleanze e le dichiarazioni di stima piuttosto che per il ragionamento che sta alla base dei comportamenti che assume.

Tant’è che nella sinistra ci sono partiti e organizzazioni che rivendicano la assoluta vicinanza ai “lavoratori” salvo poi escludere da questa elitaria categoria gli impiegati, i proprietari di piccole aziende che lavorano gomito a gomito con i dipendenti, i negozianti, i laureati, i precari…..insomma nei “lavoratori” vi annoverano cassintegrati, esodati, gli statali e gli operai (purtroppo sempre meno persone).

Nella sinistra ci sono alcuni centri sociali che predicano il proletariatismo ma che adottano metodi di comportamento che ricordano da vicino quelli del ventennio.

Ci sono partiti e correnti che teorizzano il ritorno alquanto retrò ai vecchi santi: un partito pesantemente organizzato (e costoso) con sezioni, tessere e via dicendo e la disciplina di partito e il centralismo democratico, lo stato “pesante” che intervenga a suon di milioni che non ci sono (e non ci potranno essere perché non è più possibile stampare carta moneta a proprio piacimento).

E’ facile intuire che nel 2013 essere “di sinistra” non può essere declinato in una di queste maniere, e lo esplicitano chiaramente tutti i risultati delle urne degli ultimi 30 anni. E ai giovani senza lavoro, a chi non può comprarsi la casa perché è precario a vita e a chi è obbligato ad uscire dall’Italia per poter campare dignitosamente poco importa di tutte queste diatribe inutili. La sinistra italiana, per essere degna di questo nome, deve interpretare le sfide che gli si presentano attraverso un unico e semplice ragionamento: tutti devono godere delle stesse possibilità. Un nuovo concetto di Uguaglianza che non la veda come “obbiettivo” ma come punto di partenza. Un’uguaglianza che livelli verso l’alto e non verso il basso, che stimoli il “meglio” a fiorire in un sistema inclusivo che garantisca solidarietà e dignità anche alle fasce deboli.

Questo concetto che sembrerebbe così condivisibile ha un nemico letale, che si trova tanto a destra quanto a sinistra: il conservatorismo. Non c’è uguaglianza se non si rompere, con grande coraggio e con grande forza, quelle posizioni di potere e di vantaggio che alcune categorie si sono guadagnate nel tempo e che impediscono a chi ne è fuori di godere delle stesse possibilità. Non c’è sinistra se non si fa questo in modo intelligente, predisponendo gli strumenti necessari ad evitare che si creino nuove caste e nuove posizioni di vantaggio o, peggio ancora, che prevalgano i poteri forti.

Ed è proprio questo lo stretto passaggio che separa una dolce fine da un coraggioso riavvio. Ed è questa la sfida che una sinistra moderna deve saper cogliere.

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