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Ospedale…e dintorni

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Da quanto tempo non mettete piede nel nostro ospedale? Di solito in ospedale ci andiamo sempre con l’obiettivo di risolvere al più presto problemi di salute nostri o dei nostri familiari, e magari trascuriamo la visione d’insieme delle strutture perché privilegiamo la necessità della cura, di una buona cura. Allora, io che ci sono stato con l’unico obiettivo di fare una ricognizione della situazione per così dire “strutturale” esterna  (per adesso ho tralasciato l’interno), vi descrivo brevemente  quanto ho visto: intonaco che cade a pezzi, ruggine che esce dai muri, infissi in procinto di cadere; condizionatori installati in questi anni per migliorare la situazione all’interno dei padiglioni che vengono giù letteralmente dalle facciate dei palazzi oppure assicurati alla struttura con mezzi di fortuna.

Alcune  ristrutturazioni dei padiglioni sono state completate, molte ancora oggi sono all’ordine del giorno. Passeggiando per i cortili del nosocomio si possono contare decine di cantieri (fermi ?) aperti; il punto principale non è più se serve o meno un ospedale nuovo oppure se ristrutturare o no quello attuale, ad oggi serve una decisione per uscire dall’immobilismo in cui siamo caduti.

L’Assessore Regionale alla sanità afferma: “siamo in un impasse”: il Sindaco Nogarin non vuole la costruzione dell’ospedale nuovo e si barrica sull’ipotesi della ristrutturazione di quello vecchio, ma non fornisce le soluzioni tecniche a questa proposta. Sempre dalle parole dell’Assessore si evince che la Regione sta attendendo che Livorno si muova per affrontare il problema e arrivare ad una soluzione congiunta.

L’Amministrazione Livornese, dal canto suo, non prende posizione, ma di fatto critica non solo l’idea di un nuovo ospedale, ma il tipo di organizzazione logistica e organizzativa con la quale sarebbe costruito il nuovo nosocomio, cioè la cosiddetta “’intensità di cura”.

Si sente da tempo parlare di “intensità di cura”, ma cos’è e che impatti avrebbe sul sistema sanitario cittadino?

L’intensità di cura è una sperimentazione avviata in molti ospedali italiani ed europei e vede una modifica del modo di vivere la permanenza dei pazienti all’interno di un ospedale: la “centralità del paziente”è l’elemento ca rdine di tutta l’organizzazione, attorno a lui ruota tutto il mondo ospedaliero: si muovono professionisti e si aggregano tecnologie.

L’organizzazione dell’ospedale deve essere strutturata intorno al bisogno di cura  del paziente adottando un sistema basato su intensità e natura della cura con aree disciplinari integrate dove la persona compie un percorso.

In pratica un paziente viene ricoverato in base alla cura che necessita ma, indipendentemente dalla patologie che lo affligge. Così facendo, se durante la degenza insorgono complicazioni di natura differente alla patologia originaria, non è il paziente ad essere trasferito in un altro reparto/padiglione, ma sono gli specialisti che si spostano e vanno dal paziente stesso.

All’interno dell’ospedale per “Intensità di cura” sono previste 4 aree funzionali (Terapia Intensiva, Chirurgica, Medica e Materno-infantile) secondo il bisogno assistenziale e la durata del ricovero. All’interno delle aree funzionali, naturalmente, operano le singole discipline specialistiche: Ortopedia, Chirurgia, Oculistica.

Altra novità che viene introdotta adottando questo tipo di organizzazione è l’introduzione di un “tutor”.

Oggi spesso nessuno è responsabile di tutta l’erogazione, dall’inizio alla fine della malattia del paziente. Nessuno “vede” tutta la catena dell’erogazione del servizio al malato, tranne il malato stesso. La nuova figura del “tutor”, garante dell’appropriatezza del percorso, è un requisito molto sentito dal paziente che lo segue in tutte le fasi del percorso sanitario.

 Naturalmente non possiamo parlare di “intensità di cura” senza trattare l’argomento “Ospedale di Comunità”.

I detrattori di questo tipo di organizzazione  obbiettano una riduzione dei posti letti e del numero di operatori sanitari: niente di più sbagliato in quanto viene introdotto un altro punto cardine del nuovo sistema: il cosiddetto ”Ospedale di comunità”, appunto. Questa introduzione risponde alla necessità di affrontare nel modo più appropriato ed efficace quei problemi di salute di solito risolvibili a domicilio, ma che, in particolari pazienti, in condizioni di particolare fragilità sociale e sanitaria (pazienti molto anziani o soli, affetti da più malattie che si scompensano facilmente, ecc.) richiedono di essere assistiti in un ambiente sanitario protetto. Se il “classico” ricovero ospedaliero in un reparto di medicina risulta eccessivo rispetto alle condizioni cliniche del paziente, che pur bisognoso di assistenza non è comunque grave, il medico curante può ricorrere all’Ospedale di Comunità. In questo contesto, la responsabilità clinica e la gestione complessiva del paziente spettano al medico di medicina generale che assume così un ruolo di assoluta centralità nel percorso clinico del paziente. In questa struttura prenderanno quindi posto, tutti gli operatori “esclusi” dalla struttura ospedaliera principale.

Ultima parte di questo tipo di organizzazione è la cosiddetta “terza gamba” dell’assistenza sanitaria: le cure primarie.

L’area delle cure primarie, in quanto riguardante i bisogni di salute di primo impatto, fortemente correlata con aspetti sociali, è quella più interessata ad adottare i principi dell’welfare comunitario. In pratica si tratta di riprendere fortemente in considerazione tutto ciò che ci circonda, le associazioni di volontariato, la chiesa, gli amici, tutti noi cittadini che con il nostro modo di vivere ci potremmo prendere  cura ognuno dell’altro.

Ricordando l’intervista che ho fatto a Garibaldo Benifei mi tornano  in mente le sue parole: “Arrivati a Livorno si trovò tanta solidarietà, ci ospitarono nelle case della Vetreria italiana, case accanto alla fabbrica, nelle case degli operai, spartiti in diverse famiglie, tanta solidarietà, bella, una cosa straordinaria che è diventata un esempio per me, questo tipo di volontà di aiutare chi soffriva e chi era in difficoltà, ecco come era la classe operaia a Livorno era organizzata in base alla solidarietà. C’era tanta compattezza, per me è stato un esempio”. Oltre ai tradizionali servizi distrettuali e socio sanitari riorganizzati, ecco che cosa sono le cure primarie: solidarietà!

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