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Livorno, i livornesi, l’Africa, l’università e la politica. Ciampini intervista Luca Bussotti

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Caro Luca, innanzitutto è un piacere poter ospitare sul nostro blog alcune tue riflessioni e soprattutto di farle leggere anche a chi magari non ha avuto l’occasione di conoscerti, vuoi per motivi generazionali o per la tua lontananza dai “riflettori” pubblici. Proprio per questo motivo vorrei cominciare con il sapere qualcosa di te, in maniera un pochino inedita. Facci una presentazione un po’ “social”: passioni, interessi, musica, sport, gusti, miti personali, aspetti lavorativi. In libertà.

Penso di essere fortunato, perché sono riuscito a realizzare quello che credo sia il sogno un po’ di tutte le persone: unire la passione al lavoro. La mia maggiore passione, infatti, è fare ricerca e scrivere, attività che sono anche diventate il mio lavoro. Quindi anche nel tempo libero mi piace leggere e tenermi aggiornato rispetto a ciò che, poi, potrò studiare come oggetto di ricerca. Al di là di questo, mi è sempre piaciuto praticare sport, ed infatti un paio di volte alla settimana, o più, quando ho tempo, vado a correre e faccio un po’ di ginnastica: anche il fisico vuole la sua parte. Non sono un video-dipendente, quindi poca televisione ma molta informazione, soprattutto su Internet. Ad esempio, sto seguendo quest’ultimo caso americano sul controllo delle informazioni, che ritengo paradigmatico e al contempo preoccupante. Ogni tanto ascolto la musica, preferibilmente i cantautori italiani o brasiliani, ma con molta moderazione. E poi qualche cena con gli amici, tutto qui.

1) Metto subito le mani nel piatto. Rimasi molto colpito da una tua intervista di qualche anno fa. Parlavi di due temi in particolare, che vorrei riprendere. Il primo considerava la politica come interesse, passione ma comunque come un aspetto temporaneo della vita. Rimarcavi con forza che non potesse essere una cosa a tempo pieno e così, un po’ a sorpresa hai lasciato tutto e ti sei imbarcato in un’avventura professionale in Mozambico. Come dire, hai anticipato, e di molto, questa ondata di “antipolitica” e di politicismo che la società italiana sta giudicando, oppure è stata semplicemente una questione personale?

Io ho sempre considerato la politica come una delle attività più alte e impegnative dell’uomo. Per questo non può essere ridotta a “carriera”, e per questo non ho mai pensato né parlato in termini di anti-politica. Chi fa politica a “tempo pieno” (lo dico nel pieno rispetto delle scelte individuali: anche mio padre era un professionista della politica) rischia di perdere quell’entusiasmo necessario per guidare una comunità, in cui la risorsa dell’inventiva, dell’immaginazione, oltre che della metodicità, è fondamentale per ottenere risultati significativi. Ma lo stesso vale per chi fa sindacato o qualsiasi altra attività che richieda un’elevata componente di idealismo, di slancio. Ciò che mi aveva deluso, quando feci la scelta di andarmene in Mozambico, non fu la sfiducia nella politica come attività finalizzata alla ricerca del bene comune, che resta attuale ed intatta, ma il modo in cui essa veniva fatta e concepita. Vedevo “accomodamenti” continui, la cui forza propulsiva non era tanto il cambiamento in positivo, quanto la ricerca di piccole rendite di posizione, di “posti”, se vogliamo essere più aperti, senza alcun riferimento alla qualità delle persone o delle loro idee, bensì alle appartenenze, alla fedeltà a questo o quel capocordata. Questo a tutti i livelli. Quando poi mi resi conto che, sul piano nazionale come locale, le possibilità di incidere sulla trasformazione della società erano ridottissime, appunto a causa di quest’apparato che divorava persone ed idee, capii che valeva la pena fare un’altra esperienza nel settore professionale che consideravo mio, quello della ricerca e dell’insegnamento universitario. Così, quando ricevetti l’invito di andare ad insegnare presso l’Università Eduardo Mondlane del Mozambico, al Corso di Giornalismo che era stato aperto da appena due anni, non esitai e mi imbarcai in quella che, ancora oggi, considero l’esperienza più formativa della mia vita, professionale ed umana.

2) La seconda questione che sollevavi, stupisce ancora una volta per la sua attualità. In questo caso la tua riflessione riguardava Livorno. Hai parlato di una città in cui la crisi era arrivata, a scapito delle aspettative e che trovava punti deboli nell’economia prevalentemente pubblica e nel porto non più così competitivo. Mi verrebbe da dire: si parla di quasi tre anni fa o di oggi? Spiegaci meglio come vedi le criticità di questo territorio, così, da osservatore “straniero”!

Innanzitutto devo specificare che sono un osservatore, se non proprio “straniero”, per lo meno esterno. Quando decisi di interrompere il mio percorso politico attivo in città, lo feci in modo totale e radicale, perché pensavo che fosse giusto che uno come me, che era stato per 7 anni in Consiglio comunale, 3 anni presidente del consiglio di sorveglianza di ASA, per 3 anni segretario del PDS e poi DS a Livorno, e per altri 3 anni Assessore all’Ambiente in Comune, avesse avuto il tempo sufficiente per esprimersi e provare ad incidere. Per questo scelsi la linea del silenzio. Penso, sinceramente, che molti nostri dirigenti politici, di destra come di sinistra, che lasciano incarichi importanti, spesso dopo una sconfitta elettorale, dovrebbero fare altrettanto, anziché mettersi in piccionaia a “bacchettare” che viene dopo di loro, scaricando i loro rancori sulla comunità. Per questo chiedo scusa rispetto alla genericità di alcune affermazioni sul contesto locale, che sto per fare. A me sembra che Livorno avesse intrapreso un cammino difficile ma interessante verso gli anni Novanta: non è, lo dico subito, una questione di amministratori o di carattere personale. È che, in quella fase, anche grazie al dopo-Tangentopoli e ad alcune leggi innovative (come quella sull’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia), si sentiva una spinta nuova, con aperture maggiori verso modelli di sviluppo socio-economico sconosciuti da noi. La tragedia delle chiusure delle fabbriche a partecipazione statale o di altre, per esempio, in parte si trasformò in opportunità: da qui, la logica dei Patti territoriali, ossia di un accordo tra le forze vive della città, con l’obiettivo di ripartire e di ripensare ad una Livorno “diversa”. Per motivi di varia ragione, legati soprattutto alla crisi economica generale, questo processo si è interrotto, e la città mi pare stretta fra la morsa delle rendite immobiliari (anch’esse tuttavia in crisi), il declino del porto e la cronica carenza di un tessuto di piccola e media impresa che, a partire da Pisa e verso l’interno della Toscana, continua ad esistere ed a produrre ricchezza e posti di lavoro. Penso che dovremmo riprendere questo discorso, innanzitutto con una logica positiva, disegnando un’idea di città e, su questa, chiamare le forze più intraprendenti a dare i loro contributi, in modo laico e senza guardare da dove questi vengano, ma cercando di capire quali benefici portino. L’altro tallone d’Achille mi pare di poter dire che sia l’isolamento. Ciò è paradossale, poiché Livorno nasce come cerniera fra il mondo mediterraneo e la Toscana, quindi una città “aperta”, a contatto col mondo. Vedo, invece, che siamo un po’ emarginati dal resto della regione, così come sul piano nazionale. E non parlo soltanto di classe politica: mi riferisco alla classe dirigente nel suo complesso, così come alle dinamiche economiche. Livorno non può chiudersi in se stessa, ha bisogno di ripartire come snodo centrale dei traffici, di merci e di persone, e magari anche di idee, poiché questa credo sia la sua principale vocazione. E deve farlo non in competizione, ma insieme agli altri territori regionali, attraverso una governance complessa ed integrata, sia sul piano economico che su quello istituzionale.

3) In chiave comparata, e il tuo occhio di studioso non può che approcciarsi così, facci alcuni esempi di pratiche di buon governo che hai visto in Portogallo o in Mozambico.

Il Portogallo lo conosco poco, ci sto vivendo da un anno e mezzo, ma con l’occhio sempre verso il Mozambico. Comunque voglio fare un solo esempio: il livello di informatizzazione dei servizi. In un paese francamente non all’avanguardia in molti settori, il cittadino è veramente favorito dall’elevatissima informatizzazione di ogni tipo di servizio: tutto si fa via Internet, persino la dichiarazione dei redditi, la cui modulistica è elementare, e che la larga maggioranza della popolazione, anziani compresi, fa online. Penso che l’e-governance dovrebbe costituire un mezzo molto più diffuso anche da noi. Il Mozambico è ormai la mia seconda casa, per cui ho sicuramente maggiori conoscenze e competenze per parlarne. Direi che, dopo la firma degli Accordi di Pace nel 1992 a Roma fra le due fazioni che, per 16 anni, si erano combattute (Frelimo, filo-governativa, e Renamo, sponsorizzata dal regime dell’apartheid e degli USA di Reagan), il Mozambico è riuscito ad attrarre molti investimenti (quanto “buoni” e quanto ben gestiti è tutto da vedere), che lo hanno fatto diventare come uno dei paesi africani a maggiore crescita negli ultimi anni. Livorno ha bisogno anche di questo: creare tutte le condizioni affinché il suo territorio torni appetibile per investimenti che portino anzitutto lavoro, di cui c’è una fame smisurata in città. E poi il grande investimento nell’istruzione: oggi ci sono 45 università in tutto il Mozambico (la maggior parte private), un numero incredibile, se si pensa al livello di povertà ancora elevatissimo, ma tutte pullulano di studenti che, nei corsi mattutini o in quelli serali, riempiono le classi, alla ricerca di una elevazione sociale e culturale. Questo entusiasmo dà spinta al paese, forse è proprio questo che manca, oggi, non solo in Italia, ma in buona parte d’Europa.

4) Il livornese. Gioia, delizia, limite, risorsa e problema. Come ci giudicheresti, o ancora meglio, cosa racconti di noi a chi ti chiede da dove vieni?

Racconto di una città dalle enormi potenzialità, non solo sul piano economico, ma anche sociale, culturale, turistico ed umano, non del tutto sfruttate. Quando torno a Livorno per qualche giorno ho sempre alcune mete fisse: una di queste è il mercato di Piazza Cavallotti. Stando lì capisci alla perfezione che cosa significa essere livornesi, e soprattutto come la città stia cambiando, con nuovi negozi gestiti soprattutto da stranieri, ma anche con una nuova popolazione. Ma anche questo, se guardiamo bene, fa parte della storia labronica.

5) Crisi dei partiti o crisi della politica? La nostra redazione si muove su un paradigma di fondo: non è la richiesta di politica ad essere in crisi, ma la capacità dei partiti di mettere in campo politiche credibili ed efficaci. L’astensione così drammatica e antistorica per il nostro paese, ne è un esempio. Manca un senso di comunità, di adesione ad un progetto. E l’unica ricetta strimpellata a destra come a sinistra è quella della ricerca del leader carismatico. Cosa pensi della Politica italiana oggi?

Prima di tutto: la crisi è, non tanto generale, quanto peculiare dei paesi del Sud d’Europa. È anche una crisi di leadership, ovviamente ma, come ben dici nella tua domanda, è la società italiana che è entrata in una fase difficilissima, di cui non si vede l’uscita. Una società “frammentata” che, smarriti i punti di riferimento della prima repubblica (l’ideologia del “sol dell’avvenire” o di un cristianesimo comunque solidale coi più deboli), stenta a trovarne altri. Ma sono “falsi miti”, scorciatoie come, appunto, l’uomo “carismatico”, per dirla alla Weber. L’elenco sarebbe lungo: da Berlusconi alla Lega, da Di Pietro a Grillo, dall’idolatria di sportivi o musicisti alla xenofobia o al machismo. Purtroppo, però, un salvatore della patria non esiste, e l’unica salvezza può venire da noi stessi, dalla nostra forza di volontà e dalla nostra intelligenza. Nel dopoguerra dovemmo ricostruire un paese dalle macerie fisiche. Oggi dobbiamo farlo con altre, ben peggiori, quelle morali e relative a ideali che si sono perduti. E la strada non può che essere collettiva, comune, pur nelle ovvie diversità, con un nuovo protagonismo civico da parte di tutti.

6) Esiste in Italia, a Livorno, la questione della cosiddetta classe dirigente? Cioè credi che ci sia solo un problema generazionale di ricambio della guida di un paese (o di un territorio) o c’è proprio un problema di circolazione di classe dirigente che non riguarda solo l’aspetto anagrafico ma bensì alcune idee dominanti che oggi sono superate nella società, ma non in chi amministra il “potere”, ovunque esso sia?

Le due cose: anzitutto è giusto usare il termine di “classe dirigente” e non solo “politica”, sia perché la responsabilità di un paese è collettiva, sia perché l’impresa e la finanza, oggi, sono assai più potenti rispetto ai politici. A Livorno credo che questo problema si sia amplificato, negli anni. Tempo fa Massimo Bianchi scrisse un articolo sul “Tirreno”, sottolineando come la nostra città avesse la capacità di “fagocitare” le sue energie migliori, espellendole a causa di beghe interne. Penso che questa analisi sia condivisibile, ma che occorra aggiungere un dettaglio: perché questo succede? Non posso pensare che sia esclusivamente per semplici dissapori personali. Allora io dico: forse vengono punite non tanto le persone, quanto le idee che potrebbero portare Livorno a recitare una nuova stagione da protagonista, ma che magari disturbano qualcuno. Ecco, quando all’inizio dell’intervista parlavo di “rendite di posizione” mi riferivo soprattutto a questo. Se non abbiano la forza e la capacità di analizzare crudamente la realtà per come essa è, e dire anche qualche “basta”, ci ritroveremo sempre al punto di partenza.

7) Un’ultima cosa. Ci piacerebbe che tu ci dessi un consiglio e mi raccomando, che non sia banale 🙂

Consigli non ne posso dare, nella tradizione africana i consigli li danno i saggi, che sono persone anziane. Io non ho ancora maturato l’esperienza sufficiente per farlo. Ma un appello sì: penso che la risorsa più importante per una comunità sia la fiducia ed il rispetto per gli altri e per l’ambiente che ci circonda. Se i livornesi metteranno insieme queste tre componenti (fiducia in se stessi, capacità di ascoltare gli altri, anche quelli diversi da noi da ogni punto di vista, rispettando e valorizzando lo stupendo ambiente che la natura ci ha offerto), forse riusciremo a ritrovare il cammino smarrito in un tempo assai più breve rispetto a quanto, oggi, possiamo immaginare.

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