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Città e porto. Il rapporto complicato e la vocazione turistica

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Per addentrarci nel complesso rapporto che intercorre tra una città ed il proprio porto, serve una considerazione generale: le città portuali hanno un grado di complessità più elevato rispetto ai sistemi urbani che si sono sviluppati lontano dall’acqua. La presenza di un porto aumenta il numero di funzioni urbane, incrementa la varietà delle competenze amministrative, vede la compresenza di molte autorità decisionali, accresce gli attori economici, gli strumenti di programmazione e di pianificazione.

Approcciando l’argomento in chiave storico-evolutiva noteremmo subito che il concetto città-porto si è evoluto: si parte dall’unione città-porto, da intendersi con il trattino, che serviva per marcare un’identità precisa (essere una città portuale). Del resto le città nascevano proprio intorno al porto e alla ricchezza che questo generava. Si passa poi alla divisione, alla creazione cioè di due entità distinte che rischiano spesso di confliggere. Si sviluppa cioè in epoca recente una sorta di interesse del porto, contrapposto ad un interesse della città. Ne diventano esempi lampanti le questioni legate alla mobilità e alla viabilità, le tematiche ambientali, il continuo dibattere rispetto alle esigenze di spazi.

Con la trasformazione del ruolo della navigazione e dei trasporti, ormai considerato come insieme logistico e con la conseguente zonizzazione che all’interno dei porti è diventata necessaria, si è prodotta la definitiva cesura tra la città e quello che era il suo porto. Esigenze di security, di safety e ordinarie necessità operative, hanno fatto il resto. Le città moderne hanno iniziato a raffigurarsi come entità a se stanti, disgiunte spesso dall’area storica che solitamente è la più attigua all’area portuale. Situazione che è ben evidente nel rapporto tra il nostro Pentagono del Buontalenti, la rete dei fossi, il sistema delle fortezze, il mediceo e l’area della stazione marittima.

Hoyle che è uno dei maggiori studiosi mondiali del rapporto porto-città ha individuato nella globalizzazione l’elemento finale che ha contribuito a questa frattura tra i due sistemi: i porti per restare competitivi nell’ambito del sistema globale degli scambi hanno attivato tutte le trasformazioni necessarie e lo hanno fatto rapidamente. Le città non si sono modificate con la stessa velocità. Gli elementi di queste trasformazioni mosse dalla globalizzazione sono stati in particolare l’introduzione di fattorii innovativi nell’organizzazione logistica accompagnata da maggiore richiesta di superfici dedicate. Basta pensare alla rivoluzione del container e alla dimensione delle nuove navi atte a trasportarle e alle conseguenti necessità di piazzali.

Su questo tipo di trasformazioni, squisitamente in ambito portuale, si apre la seconda riflessione, che è necessaria per sviscerare il tema in oggetto: generalmente l’intervento di rigenerazione urbana avviene quando aree vengono liberate in conseguenza del mutamento delle attività portuali/industriali. Nel caso livornese possono essere usati ad esempio il vecchio silos Granari, oppure la centrale ENEL o il dibattito che ruota intorno alla delocalizzazione del Rivellino. Tutte occasioni di intervento. Per converso, non accade quasi mai che esigenze squisitamente urbane inneschino trasformazioni nell’ambito portuale. Per questo risulta fondamentale il rapporto tra il Piano Strutturale della città ed il Piano Regolatore Portuale ed il limite per la comunità livornese è dato dal non averli adottati in parallelo lavorando sulle interdipendenze e sulle prospettive. A corredo di questa riflessione è inoltre possibile buttare un occhio alle grandi trasformazioni avvenute a Genova, Valencia e Salerno raccontate dalla dott.ssa Petrella, docente di Urbanistica dell’Università Federico II di Napoli.

Vediamole per sommi capi. L’intervento di riuso del porto antico di Genova è stato progettato da Renzo Piano, come dono alla città. L’intervento anche se ascrivibile alle trasformazioni decise in funzione dei grandi eventi (expo del 1992, G8 del 2001 e capitale europea della cultura nel 2004, è parte del Piano urbanistico generale della città. L’acquario è diventato il luogo simbolo della riappropriazione dell’area, vi sono poi una serie di attività museali, espositive e per lo shopping. Realizzazioni in parte ex-novo e in parte recuperando i vecchi volumi dismessi: i magazzini doganali seicenteschi in primis. Oltre alle realizzazioni nel vecchio porto, al recupero della relazione città-porto ha contribuito il contemporaneo intervento di riqualificazione edilizia ed economica nella città storica.

Salerno è l’altra città portuale che è ricorsa all’opera di architetti internazionali per la nuova stazione marittima, per il Crescent sul lungomare, e per il nuovo tribunale. Gli interventi più significativi sono stati incastonati in un più complessivo piano di rigenerazione urbana, anch’esso affidato a un professionista di fama internazionale, Oriol Bohigas. Il Piano di Salerno, seppur di realizzazione travagliata, si è strutturato dunque su una serie di aree strategiche, quali elementi della riconnessione urbana, fronte del mare compreso.

La progettazione di originali edifici in occasione della XXXII America’s Cup contribuiscono alla rigenerazione di Valencia. La darsena interna è sostituita da un porto-canale circondato da una vasta area verde nella quale i pre-esistenti opifici e magazzini sono sostituiti da attrezzature logistiche, turistiche e per il tempo libero.

Situazioni che sono state, tutte e tre, sospinte da finanziamenti legati a grandi eventi e su aree da riconvertire perché la funzione industriale era venuta meno. E’ vero che Livorno non ha grandi eventi in previsione ma da un lato l’accordo di programma per il rilancio dell’economia del territorio siglato con Regione e Governo e dall’altro lato la privatizzazione della Porto 2000 (società che gestisce il traffico passeggeri e che vedrà l’ingresso di un grande player nazionale del settore) porteranno risorse economiche notevoli. Si parla di centinaia di milioni di euro di investimenti.

Dunque, fatta la premessa sulla complessità del sistema porto-città e sulla sua evoluzione, compreso il ruolo “recente” della globalizzazione, assunto il dato della seconda riflessione in merito alle motivazioni che generalmente spingono a trasformazioni di aree e raccontati alcuni esempi, veniamo adesso al legame tra gli interventi in ambito porto città e le ricadute sugli aspetti turistici. Si apre in particolare tutta la partita della nuova stazione marittima che dovrebbe vedere luce proprio in un perimetro di cerniera tra aree portuali e città. Oltretutto a latere del centro storico. Questa opera di trasformazione è idealmente il caso più importante di programmazione urbanistica da mettere in campo tenendo insieme esigenze occupazionali e funzionali del porto con esigenze turistiche e culturali della città.

Lungo tutto il così detto waterfront, turismo, urbanistica, cultura e portualità vanno tenuti insieme: da sud con il porto turistico, a nord con la stazione marittima. Nel mezzo il mediceo. Livorno ha dunque un sistema che è ben delimitato e già identificato su cui intervenire. Ed è vero che se turismo non è solo crociere a Livorno intanto è anche crociere. C’è quello religioso, c’è quello sportivo, c’è quello enogastronomico. Ma quello delle crociere è importante per le riflessioni sviluppate fino ad adesso: cioè per l’interdipendenza tra una funzione portuale, “il porto dei passeggeri” e per una funzione urbana, il “turismo e la riorganizzazione della città storica”. Le crociere di testa diventano una priorità della programmazione per le maggiori economie che possono generare rispetto all’essere soltanto porto di transito. Colpì molto uno studio commissionato dall’Autorità Portuale durante la campagna elettorale del 2014 in cui si parlava dell’impatto delle crociere: valore medio per ogni passeggero di transito 112 euro contro 149 per le crociere di testa. Nel 2016 il 25% degli 800mila crocieristi si è fermato a Livorno. Assume quindi enorme importanza il tema dell’home port e dell’accoglienza. Un’accoglienza che nel nostro caso porta il nome di Fortezza nuova, Fortezza vecchia, sistema dei fossi, mercato delle Vettovaglie, sistema delle cantine, Venezia, Museo ai Bottini dell’olio, Voltone, Chiesa degli Olandesi, Chiesa di Santa Caterina etc.

Ma è un’accoglienza che ha bisogno di fare brand, di essere organizzata urbanisticamente, e di essere concepita come un vero sistema: passeggeri-stazione marittima-centro storico-turismo possono e devono coesistere con il tessuto residenziale. Questa è la sfida che può cambiare volto alla città e che deve essere colta prima che si attrezzino porti a noi vicini.

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